giovedì 13 ottobre 2011

Sulla lettera di Caprotti al Corriere. (Non sarà un personaggio di Enzensberger, ma fa riflettere)

Un altro spunto sulla questione dell'identità borghese. Oggi lettera di Caprotti al Corriere della Sera. Ringrazia Maria Luisa Agnese di un articolo del 4 ottobre, in cui si racconta del prossimo corto pubblicitario da 16 minuti su Esselunga girato da Tornatore. Siccome nell'articolo MLA aveva scritto "questo film, è lo spunto non solo per un'operazione commerciale per far conoscere le molte e indubbie eccellenze che stanno dietro all'avventura di Esselunga (sarà distribuito gratis agli oltre 4 mila clienti affezionati), ma anche di messa a punto e di restyling dell'immagine del suo patron", Caprotti così puntualizza rivolgendosi a MLA: Vorrei però dirle una cosa che non mi è piaciuta: il mio intento di rifarmi un'immagine, cioè "anche di messa a punto di restyling del suo patron"; e peggio: "l'operazione Caprotti inedito, liberal-trasversale, è cominciata". Ecco vorrei dirle come stanno le cose. Sotto questo profilo io l'immagine non me la sono mai curata, me l'hanno appiccicata i salottieri di sinistra, Repubblica, sindacati... Nella Milano che non c'è più, la Milano dei Falck e dei Dubini per intenderci, la mia famiglia era abbastanza conosciuta per quella che era, liberale, laica, antifascista; mia mamma Marianne con la famiglia francese distrutta dai boche, mio cugino André (di sinistra?) assassinato dai fascisti francesi il giorno della liberazione di Parigi. Queste cose la Milano di oggi non le sa, come non sa che gli Albertini furono costretti a vendere il Corriere dopo il delitto Matteotti. E che a differenza dei rampolli discendenti da famiglie assai vicine al regime fascista negli anni Trenta, industriali della gomma, proprietari di giornali o fondatori di enciclopedie, io non ho mai sentito la necessità di mostrarmi "di sinistra" o di essere "illuminato". 
Qui la lettera si chiude. E si apre la riflessione. Sebbene la questione da cui prende le mosse l'interesse mediatico che in questi anni ha seguito le vicende di Caprotti – lo scontro con le Coop, un libro abrasivo sottoposto a una sentenza molto severa di un giudice, la sua marcata tendenza a rappresentare il prototipo dell'imprenditore all'antica nato nella generazione formatasi nel mito dei mogul americani (del resto il padre lo mandò in America all'inzio degli anni 50 e nel 57 si lanciò nella grande distribuzione italiana in società con Nelson Rockefeller) – riguardi essenzialmente il suo essere un uomo di destra, in realtà identitariamente non sembra questa la preoccupazione di Caprotti. E infatti nella lettera non lamenta di essere trattato da conservatore, ma semmai di vedersi negata una questione soggettiva, carnale e più profonda che gli sta a cuore: ci tiene a dire, guardate che io sono profondamente borghese, sono cresciuto in una famiglia laica, liberale e antifascista, non ho mai avuto bisogno di foglie di fico come gli industriali della gomma che prosperarono sotto il fascismo (indovina?), sono disponibile a trattare con i miei avversari, ma senza rinunciare a quello che sono, un imprenditore borghese. Ovviamente non è un personaggio di Enzensberger, però c'è un'aspirazione.