martedì 8 novembre 2011

Che successe il venerdì santo del 1997. Piccola web-rece di un libro da leggere sull'affondamento della Kater i Rades

ALESSANDRO LEOGRANDE
Il naufragio – morte nel Mediterraneo
FELTRINELLI, pagg. 217, euro 15,00

Brindisi, il relitto della Kater i Rades
Dunque la storia è molto semplice. Un ufficiale della marina militare italiana, comandante di una nave da guerra (soltanto l'espressione nave da guerra rende l'idea di che cosa sia una nave da guerra) riceve un ordine contrario all'etica del mare. Infastidire, dissuadere, impedire a una piccola barca carica di civili di proseguire la navigazione. Il comandante obbedisce agli ordini fino a una conseguenza che neanche lui voleva (questo è obbligatorio concederglielo), ma che doveva immaginare. Colpita dalla nave, la piccola barca si rovescia e affonda. A bordo 115 persone. 34 superstiti, 81 morti, 57 corpi recuperati, 24 no. La maggior parte delle vittime è rimasta intrappolata sottocoperta, donne e bambini. Trentuno vittime avevano meno di sedici anni, 19 meno di dieci, una donna era incinta e morendo asfissiata ha espulso il feto. Solo un bambino si salva riuscendo a liberarsi da un oblò. È il 28 marzo del 1997, venerdì santo.
La nave era una nave da guerra italiana, la corvetta Sibilla. La barca affondata era una ex motovedetta della marina albanese, la Kater i Rades, che una banda di trafficanti utlizza per portare in Italia poco più di un centinaio di disperati che si imbarcano a Valona, per una cifra di un milione di lire a testa. Sarà recuperata dopo un anno dall'affondamento (molto belle nel libro le pagine in cui l'autore racconta la visita al relitto). 
 La Sibilla si avvicina alla motovedetta
La Sibilla ha una massa oltre cento volte superiore a quella della Kater. Le va addosso, la sperona mentre cerca di tagliarle la strada – guardate la foto accanto per capire di che cosa stiamo parlando.
Il comandante della Sibilla si chiama Fabrizio Laudadio, condannato a 2 anni e 4 mesi di reclusione per omicidio plurimo colposo. È un personaggio conradiano. La sua storia è simile a quella di Jim. Per tutta la vita gli hanno insegnato il coraggio, ma quando deve darne prova, si dimostra vile (Lord Jim si riscatterà, di Laudadio non sappiamo). Il pubblico ministero Leonardo Leone de Castris si rende subito conto che c'è qualcosa che non quadra nella ricostruzione della marina. Ma neanche un processo in fondo benevolo con i militari, perché nega sin dall'inizio le responsabilità di due superiori di Laudadio, gli ammiragli Battelli e Guarnieri (anche la loro storia ha un tristissimo fondo di completa inadeguatezza), può assolverlo. 
Alessandro Leogrande è uno scrittore reportagista. Ha già scritto molto bene di caporalato e contrabbando nel Mezzogiorno. Con questo libro resuscita una storia terribile raccontata in modo mirabile e fino a oggi incompresa dall'opinione pubblica (la vicenda del venerdì santo 1997 ha anche un suo valore politico, in realtà solo accennato nel libro ma interessante, perchè fu una pagina difficile e imbarazzante per il governo presieduto da Romano Prodi e perché segna l'inizio della traversata nel deserto di Berlusconi all'opposizione, ma questa è un'altra storia). Leggere assolutamente Leogrande.