Il Messaggero
Rendicontare le caramelle, questo è l’obiettivo
dei cittadini M5S che nelle camere – fiato sul collo nemico – saranno lì di
guardia alla virtù pubblica. Rendicontare le caramelle non sarà facile, ma è
possibile. Prendiamo la Camera dei Deputati. Nelle pieghe di un bilancio da
1,087 miliardi di euro ci sono ampi margini per risparmiare. Sarà bene
ricordare però, che la parte più cospicua del bilancio della Camera potrà
essere tagliata quasi esclusivamente con provvedimenti di legge, perché
riguarda stipendi e pensioni di deputati e dipendenti. Circa 800 milioni di
euro, così suddivisi: 161 milioni per indennità e rimborsi dei deputati, 136
per le pensioni dei deputati, 287 milioni per gli stipendi dei dipendenti e 216
per le pensioni dei dipendenti (con molte polemiche sui trattamenti d’oro per tutti
i livelli retributivi dal segretario generale ai commessi, in media tre volte e
mezzo lo stipendio di uno statale ordinario di pari grado).
Però, per esempio, dentro questi 800 milioni di
euro, risulterebbero abbastanza caramellose le voci sui rimborsi viaggio per i
deputati – quasi 11 milioni – e per gli ex deputati (800.000 euro).
Dove i neo eletti M5S troverebbero molto
materiale è nella V categoria del I titolo, la spesa per gli acquisti di beni e
servizi. È una voce comprimibile senza ricorrere a provvedimenti di legge e
vale 163 milioni di euro, cioè il 15% circa del bilancio di Montecitorio.
Spiccioli di fronte all’immensità del bilancio pubblico (800 miliardi di euro
circa), ma simbolicamente interessanti perché sono una piccola isola di opacità
e di spreco.
C’è solo da mettersi al lavoro. 26 milioni di
affitto di immobili. 13,7 milioni di spese di manutenzione, che è
tradizionalmente una delle voci meno trasparenti nelle spese delle istituzioni,
o anche nei bilanci delle grandi società private, perché vi si annidano
possibili accordi con i fornitori. Per questo M5S punta a un posto di questore.
In questi 13,7 milioni sono compresi – per esempio – 930.000 euro per gli
ascensori, 1,2 milioni per i computer e 2,8 milioni per il software (questi
vanno aggiunti a 1,2 milioni per l’acquisto di hardware – cioè altri computer –
e 8 per l’acquisto di altro software, 9,2 milioni nel complesso messi a
bilancio nella spesa in conto capitale). Poi ci sono 4 milioni di spese per
l’acquisto di beni e materiali di consumo, tra cui spiccano 420.000 euro per
non meglio precisati “materiali di consumo per sistemi informatici”. Alcune
spese saranno considerate anacronistiche dalla modernità grillina (molto tablet
e adsl): per esempio un milione per servizi vari di stampa. Altre inutili – non
solo per loro, ma per chiunque abbia un po’ di buon senso – come i 950.000 euro
per le spese di trasporto a favore degli inutilissimi eletti all’estero. Altre
spese banalmente castali, come i 400.000 euro per la “formazione linguistica e
informatica dei deputati”. Altre caramelle da rendicontare: 100.000 euro di
servizi di guardaroba o l’inspiegabile contributo da 400.000 euro per la
Fondazione Camera dei Deputati. Materiale altrettanto interessante sono le spese
di funzionamento delle commissioni d’inchiesta. Il dibattito sull’utilità di
questi organismi dura da molti anni perché la loro attività si sovrappone a
quella ordinaria della magistratura; ma alcuni di essi sono pressocchè
amatoriali e qualunque costo risulta stravagante. 150.000 euro vanno alla
commissione d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e attività illecite a esso
connesse (sic), 100.000 euro a quella sugli errori in campo sanitario e sulle
cause dei disavanzi regionali, 50.000 a quella sui “fenomeni di diffusione
delle merci contraffatte e delle merci usurpative in campo commerciale”, dove –
peraltro – sarebbe interessante riflettere anche sull’autore della definizione “merci
usurpative”. Ovviamente nessuna di queste piccole spese è in sè una tragedia
contabile, ma è rappresentativa di un metodo: l’idea che il denaro pubblico non
appartenga a nessuno. Resta una considerazione generale che andrebbe fatta. La
spesa di Montecitorio è un pezzettino emblematico della spesa pubblica. E la
maggior parte della spesa è fatta di retribuzioni e previdenza. Solo lì è
possibile modificare le uscite in modo strutturale, perché di solito è lì che
si stratificano le iniquità. Il resto è fatto di un frastagliato agglomerato di
spese varie, beni strumentali, servizi, investimenti, e anche di caramelle.
Marco Ferrante