Il Messaggero 21 marzo
Con un battito di ciglia, abbiamo dimenticato la storia
del secolo scorso in cui la ricchezza di tutto l’Occidente è stata la crescita,
il più travolgente sviluppo economico e miglioramento delle condizioni di vita
della storia dell’umanità: l’impennata della curva del Pil trascinata dalla
libertà dei commerci e dalla tecnologia. Ma, invece di riparare le strade della
crescita, di aggiornare il nostro modello, all’improvviso ci siamo lasciati
travolgere da una (ir)resistibile onda di pauperismo. Suggestionati dalla
grande crisi finanziaria del 2008, innestata sul più ingente trasferimento di
produzione, lavoro e ricchezza da una parte all’altra del mondo – direzione
Cina – dell’evo moderno e contemporaneo, dagli scricchiolii dell’Occidente e da
una valanga di risposte oscillanti tra ideologia e simboli.
Il primo papa gesuita sceglie il nome di un santo che si
spoglia delle ricchezze accumulate da suo padre. Poi si libera degli ornamenti
più imperiali del suo potere e li contestualizza ai tempi duri: l’anello d’oro
che diventa d’argento (pochi euro di differenza per una smaliziata scorciatoia
valoriale molto enfatizzata dai media ma che non rende di per sé la Chiesa più
forte), il crocifisso di ferro, niente ermellino (che però forse era già
sintetico), niente mocassini rossi, ma vecchie scarpe risuolate a Buenos Aires.
E invoca bontà, tenerezza, attenzione per i più poveri, i deboli, i nudi, i
malati, il creato.
Beppe Grillo, leader populista e anticastale, e portavoce
della deriva antieconomica che ha investito un pezzo della nostra società, ha
subito cercato una parentela con Bergoglio, il papa low cost, che come noi – ha
spiegato con modestia – ha scelto di ispirarsi a San Francesco. E sul suo blog
ha aggiunto che la politica senza soldi è sublime, così come potrebbe diventare
una Chiesa senza soldi.
C’è molta maniera in questo tentativo di infilarsi nella
scia delle prime azioni del nuovo papa. Secondo Margaret Thatcher il buon
samaritano non diventò così famoso solo per le sue buone intenzioni, ma anche
perché era pieno di soldi. Grillo è l’interprete di una idea di decrescita, di
suddivisione della torta in parti più piccole. Promette la partecipazione
all’impoverimento.
Del resto, una spinta a frenare la ricchezza si avverte in
tutta Europa. In Francia Francois Hollande come primo atto post-sarkozista
aveva imposto al governo la tassa sui patrimoni sopra il milione di euro.
Conseguenze nefaste per il gettito dell’imposta, vicino allo zero, ed effetto
psicologico negativo sui residenti francesi. Ma anche un (molto) indesiderato
boomerang: perché il ministro delle finanze francesi Jerome Cahuzac,
responsabile tecnico della supertassa contro i ricchi, è stato accusato di
avere avuto un conto in una banca svizzera per occultare una frode fiscale, e
due giorni fa è stato costretto alle dimissioni.
Il mese scorso dalla Svizzera è arrivata una decisione non
scontata. Il paese occidentale in cui il capitalismo – più che altrove – assume
forme castali sceglie di sottrarre ai comitati remunerazione dei consigli di
amministrazione le decisioni sulle retribuzioni dei manager, per affidarle alle
assemblee degli azionisti; e dunque per limitare la sperequazione tra i
compensi dei vertici aziendali e gli stipendi di base dei dipendenti.
Sono risposte – spesso emotive – all’emergenza di questo
inizio secolo. Lo squilibrio nella distribuzione del reddito, con una
disponibilità economica dei ceti medi sempre più scarsa, e con una protezione
insufficiente da parte di sistemi di welfare sempre più costosi e ormai
sganciati dalla ricchezza novecentesca. La conseguenza è la crescita di un
profondo risentimento sociale che dovremmo cercare di tenere sotto controllo.
Questo lo ha ricordato nei giorni scorsi anche il pragmatico papa Francesco.
E invece questo risentimento rischia di essere esasperato
da soluzioni troppo radicali. In un articolo pubblicato da Micromega – e
che riprende le tesi del suo ultimo libro pubblicato in Italia da Einaudi “Il
prezzo della diseguaglianza” – Joseph Stiglitz (l’economista cui peraltro si
ispira Beppe Grillo, con una buffa storia smentita dal premio Nobel, su una sua
partecipazione alla stesura del programma M5S) dice che la situazione globale
può migliorare solo se in Occidente il 99 per cento della popolazione si rende
conto di essere stata ingannata dal restante un per cento. Una specie di
richiamo al radicalismo della lotta di classe, che non sembra esattamente il
metodo migliore per riformare nel senso dell’equità il nostro mondo.
Non sarà “meglio tutti più poveri, ma tutti più uguali” la
risposta alla crisi. Bisognerebbe riuscire a fare al tempo stesso due cose:
redistribuire il reddito disponibile con riforme eque, e attenuare il senso
della distanza tra ricchi e poveri, potenti e sudditi con soluzioni anche
simboliche (in fondo, visto con la sensibilità dell’opinione pubblica, il
crocifisso di Francesco e il taglio dei costi della politica sono l’alto e il
basso di emotività cugine). Ma dovremmo anche provare a riformare le nostre
società pensando a come si può ricominciare a crescere economicamente. Quelli
che "sarebbe meglio essere tutti un po' più ricchi" vanno meno di
moda, ma dovremmo riscoprirli.
Marco Ferrante