martedì 8 maggio 2012

Ritratto. Perché Agnelli ha vinto lo scudetto

Pubblicato da Panorama il 2 novembre dell'anno scorso. È un profilo del presidente della Juventus. Si spiega perchè ha vinto lo scudetto e perché la questione Del Piero ha preso già all'inizio della stagione la piega degli addii.


Andrea Agnelli, 37 anni, presidente della Juventus, protagonista di questa prima parte del campionato, si è ritrovato al centro delle polemiche per  il caso Alessandro Del Piero, per aver ricordato che il capitano è all’ultima stagione. Il popolo juventino è un po’ confuso. Considera Agnelli il leader della riscossa anti-interista, ma il capitano è la bandiera. Striscia la notizia ha intervistato Alex, che ha detto: “di solito non si fa così”.
In realtà tutto era noto. Alla firma del contratto entrambe le parti avevano spiegato: questo è l’ultimo. Una fonte interessante, cioè il sito non ostile al capitano sin dal titolo – uccellinodidelpiero.com – minimizza. Agnelli aveva solo salutato il capitano davanti all’assemblea della Juve. Ma nel mondo dei tifosi più informati, dei blogger d’area, degli juventinologhi, l’interpretazione maggioritaria è la seguente. Agnelli ne ha sempre riconosciuto i meriti sportivi, ma è guardingo nei confronti del capitano perché gli interessa innanzitutto la tenuta della squadra e dello spogliatoio. Del Piero, ragazzo intelligente, è un attento gestore del suo ruolo dentro la Juve. Con modi felpati, accorti, cardinalizi, con una certa educata spietatezza in tutti questi anni ha saputo tutelare se stesso e la sua leadership dentro lo spogliatoio. Agnelli ha in mente un modello di gestione mutuato dal passato. Proprietà forte, management che comanda, rapporto di fiducia con l’allenatore, connessione con un popolo di dodici milioni di tifosi. I giocatori, invece, fanno i giocatori. Nelle grandi società è sempre stato così. “Le stelle non sarebbero stelle senza la squadra”, ha detto a novembre del 2010.
I rapporti con Del Piero sono in linea con il metodo degli ultimi mesi. Tenere la tifoseria, innanzitutto restituendole l’orgoglio dei 29 scudetti (prendersela con i detestati Moratti è servito) e preservare l’allenatore da pressioni improprie.
Figlio di Umberto, presidente della Juventus da un anno e mezzo, AA si è sempre comportato come una persona disponibile al combattimento. Per farsi un’idea dell’indole, un dettaglio: sulla pavimentazione intorno al nuovo stadio sono state sovrimpresse cinquanta stelle dedicate ad altrettanti campioni juventini di tutti i tempi. I tifosi possono comprare uno spazio nella stella per incidere il loro nome. Agnelli ha scelto per sé Paolo Montero, simbolo della Juve da battaglia, 4 scudetti e l’Intercontinentale.
Questo spirito lo ha tirato fuori nello scontro con l’Inter, e anche nella sua vita precalcistica. Nel 2005, per esempio, scelse una strada abbastanza solitaria nella sua famiglia. Si dichiarò contrario al cosiddetto equity swap, l’operazione finanziaria che neutralizzava l’ingresso delle banche nel capitale della Fiat e conservava la famiglia Agnelli-Elkann sopra la soglia del 30 per cento nell’azionariato. Lo disse in un’intervista al Foglio. Ne nacque una freddezza tra il ramo Elkann e gli eredi di Umberto, in cui si rifletteva – in una dimensione più esplicita, meno mitica e meno letteraria – lo strascico dei difficili rapporti che in vita avevano avuto Gianni e Umberto, i quali si volevano molto bene, ma erano separati da quattordici anni di età, in una relazione simile a quella di un padre e di un figlio: per esempio, fu Gianni a regalare il primo motorino a Umberto. Il dissidio del 2005 si è ricomposto lentamente, fino all’epilogo un po’ simbolico dell’anno scorso. Il completamento del pieno ricambio generazionale nella prima famiglia del capitalismo italiano: mentre John Elkann diventava presidente della Fiat, chiudendo il processo di successione a cui pensava Gianni, AA andava alla presidenza della Juventus. 
È il quarto presidente Agnelli. Prima di lui il nonno Edoardo, inventore dello stile Juve. Poi lo zio Gianni, e infine suo padre, presidente della prima stella, dal 1955 al 1962. Umberto riprenderà le redini negli anni 90, quando da capo delle attività finanziarie di famiglia – insieme a Moggi, a Giraudo e Bettega, la molto discussa triade – costruirà la squadra delle tre finali consecutive di Champions (una vinta) e della vittoria in Intercontinentale, forse la più forte Juventus di sempre. 
Andrea aveva un rapporto forte con il padre: educazione borghese, senso del dovere, disciplina. Una volta raccontò che siccome a casa sua si andava a tavola alle 19.45, lui aveva diritto a una franchigia di 15 minuti ma doveva telefonare entro 5 minuti dalla scadenza, nel caso in cui non facesse in tempo ad arrivare. Un’altra volta ha spiegato che Umberto aveva insegnato ai figli a esprimere sempre e con franchezza la propria opinione.
A cavallo tra i ventitre e i ventinove anni, ha perduto il fratello maggiore, Giovanni Alberto, morto di tumore nel dicembre ‘97 e suo padre, proprio mentre – nel pendolo degli equilibri di casa Agnelli – aveva avviato l’azione di rilancio della Fiat di cui era diventato presidente solo alla fine. “Ti prende un senso di impotenza”, disse Andrea in una intervista al Sole 24 Ore.
Nel complesso reticolo famigliare, è l’unico maschio a chiamarsi Agnelli (ha una figlia nata dal matrimonio con Emma Winter, aspettano un bambino in arrivo a dicembre). Rappresenta un ramo famigliare con una consistenza paragonabile a quella della precedente generazione. Una quota di oltre il 10 per cento nell’accomandita, che controlla a cascata il gruppo industriale, e un notevole patrimonio personale.
Ha un fondo, Lamse, con cui ha fatto investimenti in finanza, private equità, energia, e anche nell’editoria. Stava per entrare nell’avventura di Lettera 43 con Paolo Madron, poi non se fece nulla (curiosità, in Lettera 43 c’è un giovane Moratti, Maurizio Angelo). Nell’editoria AA è presente con Michele Dalai e Davide Dileo, quello dei Subsonica. Hanno fondato insieme Add, la casa editrice che in Italia ha pubblicato il pamphlet bestseller “Indignatevi” di Stephane Hessel, e il cui eclettico catalogo va da Jovanotti a Scalfaro&Caselli fino Pavel Nedved, consigliere d’amministrazione bianconero e – tra memorie e auspici – ultimo pallone d’oro juventino. 

@MarcoFerrante