Il
primo risultato della Abenomics, la spettacolare – quanto a mezzi impiegati –
ricetta di politica economica del primo ministro giapponese Shinzo Abe è la
conquista di una voce su Wikipedia. Trenta righe che illustrano la nuova
strategia espansiva di Tokyo. Un segno della popolaritá immediata ottenuta dal
piano Abe, varato cinque mesi fa, ma anche un segno di una pressione generale
che i media riflettono e che si agita sotto pelle nel mondo globale: uscire a
tutti i costi dalla crisi.
Il
Giappone ha varato un programma fatto sostanzialmente di tre cose: riacquisto
del debito pubblico nazionale attraverso l'emissione di nuova moneta (senza
preoccupazioni per gli effetti inflattivi dopo vent'anni di deflazione). Poi un
massiccio piano di investimenti pubblici da 100 miliardi di euro, più incisivo
dei precedenti nelle speranze del governo. E infine una riforma della finanza
pubblica, che però non è ancora stata presentata.
I
primi risultati sono stati molto positivi. Dopo la tristemente epica "lost
decade" – i dieci anni perduti dalla seconda economia del mondo addormentata
nella stagnazione, una crisi profonda cominciata dopo uno sboom immobiliare – i fondamentali giapponesi cominciano a dare segni di buona salute,
risvegliati dalla scossa di Abe. Il mercato azionario viaggia a ritmi molto
intensi. I consumi interni che valgono il 60% del Pil crescono. Anche a causa
della svalutazione dello yen le esportazioni sono cresciute del 3,8 per cento
nell' ultimo trimestre (il Time ha dedicato una copertina a una impresa
dell'industria dell'abbigliamento giapponese considerata un simbolo della ripresa). Nel primo
trimestre dell'anno il pil è cresciuto dello 0,9% e le previsioni per
quest'anno e per il prossimo sono eccellenti: per il 2013 siamo a +3,5% (al di
sopra delle previsioni degli analisti che si fermavano al 2,8).
Il
fatto che la crescita delle esportazioni giapponesi sia stata determinata per
ora dalla svalutazione dello yen, allarma le altre banche centrali, preoccupate
da una eventuale guerra delle valute.
Ma
nelle cancellerie europee – non sempre i sintonia con le perplessitá dei
banchieri centrali estranei al problema del consenso – ci si chiede se sia
possibile esportare la ricetta di Shinzo Abe in Europa. Nel dibattito economico
internazionale i sostenitori della via giapponese crescono a destra e a
sinistra. E dicono che sì, è possibile seguire Abe, perché l'Europa rischia di
essere soffocata da troppa austerità. Ovviamente questo dovrebbe passare per un
negoziato con la Bce. Mario Draghi si è impegnato a fare in modo che nessuno
dei paesi in difficoltà sarà abbandonato. Nessuno sarà messo nelle condizioni
di uscire dall'euro. Ma il sostegno di Francoforte ha un perimetro
circoscritto. La Bce non stamperà moneta per comprare altro debito pubblico dei
paesi membri.
Ma il
tema sollevato dalla performance giapponese resta politicamente intrigante.
Certo, i risultati finora messi a segno da Abe sono il frutto di una politica
molto esasperata, a partire dal (quasi) raddoppio della base monetaria. Ma i
risultati ci sono. E l'Europa pur nei limiti del Trattato potrebbe avere la tentazione di seguire una strada simile. Il vero problema per la mano pubblica nel vecchio
continente sono i meccanismi politici di decisione e formazione del consenso
privi di una visione d'insieme e troppo soggetti al compromesso continuo.
Però ricordiamo che se l'Italia è al settimo trimestre consecutivo di
crescita negativa, e la Francia è appena entrata in recessione, la Germania –
pur in ottima salute rispetto agli altri due grandi paesi fondatori – ha smesso di correre e
nel primo trimestre di quest'anno è cresciuta solo dello 0,1% per cento. Tenere
sotto controllo i conti pubblici è una necessità dettata anche da esigenze di equità
fiscale, ma riavviare lo sviluppo è la vera sfida da affrontare. La Cina regge,
gli Stati Uniti ripartono e adesso anche il Giappone. Solo l'Europa rischia di
restare al palo.
Marco Ferrante
da Il Messaggero del 17 maggio 2013